Alessandra Sanguinetti: il tempo come racconto fotografico
Parlare di Alessandra Sanguinetti significa entrare in un universo visivo che si muove al confine tra realtà e finzione, tra documentazione e racconto simbolico. Nata a New York nel 1968, cresciuta in Argentina e oggi residente negli Stati Uniti, Sanguinetti è una fotografa che ha scelto di costruire il suo lavoro su progetti di lungo respiro. Non le interessa la velocità del consumo visivo, ma la sedimentazione delle storie, la possibilità che la fotografia diventi una finestra sul tempo.
Il suo nome è spesso legato a The Adventures of Guille and Belinda, serie che ha iniziato alla fine degli anni Novanta e che continua ancora oggi. Due bambine argentine – cugine tra loro – sono diventate protagoniste inconsapevoli di una narrazione fotografica che le accompagna dall’infanzia all’età adulta. In queste immagini non c’è semplicemente il ritratto di due persone: c’è la traccia visibile di come gli anni trasformano i corpi, le amicizie, i sogni, e al tempo stesso di come la fotografia possa essere custode di metamorfosi silenziose.
Oltre il documentario: la fotografia come mito personale
Uno degli aspetti più affascinanti di Sanguinetti è la sua capacità di andare oltre la pura documentazione. Nonostante la sua formazione e la sua appartenenza a Magnum Photos la inseriscano nella tradizione del reportage e della fotografia documentaria, le sue immagini non sono mai cronaca in senso stretto.
In Guille and Belinda, per esempio, gli scatti non si limitano a registrare momenti della vita delle due bambine. Spesso le scene sono costruite con una certa dose di teatralità: pose, gesti, piccoli oggetti simbolici. Tutto questo trasforma i soggetti in figure quasi mitologiche, sospese in un territorio che ricorda tanto le favole quanto i sogni. Il confine tra ciò che è avvenuto e ciò che è stato immaginato si fa sottile, e proprio qui risiede la forza del suo lavoro: la realtà non viene negata, ma arricchita da una dimensione poetica.
La sua fotografia ci ricorda che la verità non è mai solo un fatto, ma anche un sentimento, una percezione, un racconto che costruisce senso.
Il tempo come protagonista invisibile
Ciò che rende Sanguinetti unica nel panorama fotografico contemporaneo è la durata dei suoi progetti. In un’epoca segnata dall’istantaneità – in cui ogni immagine è consumata e dimenticata nel giro di pochi secondi – lei sceglie la via opposta: tornare, aspettare, osservare.
Seguiamo Guille e Belinda da bambine a donne, e con loro attraversiamo anche i cambiamenti sociali e culturali dell’Argentina rurale. La fotografia diventa un archivio intimo che documenta non solo due vite, ma anche un contesto più ampio. È un’opera che parla di memoria, di appartenenza, di radici.
In questo senso, Sanguinetti sembra lavorare contro il tempo, o meglio: con il tempo. Ogni sua immagine ci ricorda che la fotografia, pur essendo un frammento istantaneo, ha il potere di estendersi, di stratificarsi, di raccontare più di ciò che appare in superficie.
Sguardo femminile e intimità
Un altro elemento centrale del lavoro di Sanguinetti è la prospettiva femminile. Nei suoi ritratti emerge un’intimità che difficilmente sarebbe raggiungibile con un approccio distaccato. La sua relazione con le due protagoniste è fatta di fiducia reciproca, di affetto e vicinanza. Questo legame traspare dalle immagini e ne costituisce la forza emotiva.
Non c’è voyeurismo, non c’è distanza: piuttosto, un’alleanza silenziosa tra fotografa e soggetti. Questo aspetto apre anche una riflessione sul ruolo dell’autore nella fotografia contemporanea: quanto possiamo essere testimoni neutrali? E quanto, invece, il nostro sguardo modifica, interpreta e addirittura inventa ciò che vediamo?
Sanguinetti non nasconde questa ambivalenza, anzi la valorizza. Nei suoi scatti, l’intimità diventa linguaggio, e lo sguardo femminile si fa strumento per indagare la crescita, la vulnerabilità, l’identità.
La fotografia come racconto universale
Pur nascendo da una storia personale e locale, il lavoro di Alessandra Sanguinetti ha una portata universale. Chi guarda Guille and Belinda riconosce nelle immagini frammenti della propria esperienza: l’amicizia, l’infanzia, la trasformazione, la perdita di innocenza. È questo equilibrio tra particolare e universale che rende il suo lavoro così potente.
La sua ricerca visiva continua anche in altri progetti, sempre legati al rapporto con le persone e al desiderio di costruire narrazioni fotografiche a lungo termine. Ma è soprattutto con Guille e Belinda che la fotografa argentina ha lasciato un segno duraturo: un corpus di immagini che, come un romanzo visivo, accompagna lo spettatore pagina dopo pagina, anno dopo anno.
perché parlarne oggi
Raccontare Alessandra Sanguinetti significa ricordarci che la fotografia non è solo estetica o tecnica, ma anche tempo, relazione, memoria. In un’epoca di immagini effimere, il suo lavoro ci invita a rallentare e a considerare la fotografia come un viaggio, non come un istante isolato.
Per un’associazione fotografica, discutere del suo approccio è anche un’occasione per riflettere su quanto la pratica fotografica possa essere più di un gesto estetico: può diventare un modo di costruire legami, di interrogare la realtà e di restituirle nuove forme narrative.
Che si tratti di guardare le immagini di Guille e Belinda o di esplorare i suoi altri progetti, l’impressione è sempre la stessa: la fotografia, nelle mani di Alessandra Sanguinetti, è uno strumento per ascoltare il tempo e trasformarlo in racconto.
non vengono inserite foto per non violare il copyright, s’invita a documentarsi attraverso i canali opportuni